ECONOMIA, DOMANDA E MINDSET

Che fine farà la domanda? In questo ultimo mese il nostro paese (e non solo) è impegnato a fronteggiare una pandemia da nuovo coronavirus con effetti non del tutto conosciuti dal punto di vista sanitario; gli scenari sono incerti, i dati cambiano costantemente, e l’emergenza sanitaria monopolizza – o monopolizzava – giustamente l’attenzione di tutti. La priorità DEVE restare quella, ma l’economia?

Lo stato attuale

I discorsi, le manovre non ancora chiarissime e uno status incerto pongono diversi quesiti sui quali ancora troppo poco si sta dicendo e, soprattutto, agendo. Eccezion fatta per qualche isolata voce che si prodiga nel cercare soluzioni, sono ancora troppo poche le idee concrete per affrontare l’emergenza che verrà: quella economica.

Non si parla della contrapposizione da social network #iorestoacasa vs irriducibili del fatturato: il punto, forse, non è ciò che comporteranno queste settimane (mesi) di lockdown, quanto quello che seguirà e come affrontare la riapertura. Il tema è complesso e ha ragione di esistere non solo nel comparto economico ma, anche, in quello sociale, psicologico e umano. Una “filiera” dei comportamenti umani – del singolo e della massa – che troveranno diversi anelli deboli nella catena della ricostruzione. Da un lato abbiamo avuto vari DPCM che, oltre alla parole del Presidente del Consiglio, ribadiscono nero su bianco l’importanza e la necessità di preservare le attività produttive, ma al contempo molte aziende stanno chiudendo e altre, purtroppo, lo faranno nei mesi futuri. Accadrà per diversi motivi: mancanza di componenti, di manodopera, o più semplicemente di domanda.

Forniture, approvvigionamenti e forza lavoro (di tutti i settori), torneranno teoricamente ad essere disponibili passato il picco pandemico che, da qualche giorno, sembra essere stato ipotizzato per la fine di aprile. Ma a fronte di intere filiere produttive e forza lavoro “disponibile”, non è affatto detto che questo accadrà anche per la domanda. Questo effetto di contrazione della domanda – non così remoto – sarà più evidente quanto più a monte nel “supply network” ci si scosti rispetto alla domanda di beni di consumo.

L’effetto frusta

Molti ricordano la “crisi del 2008”: in Italia, nel 2009, a fronte di una riduzione dei consumi dell’1,7% rispetto al 2008, anno della crisi, si è assistito ad una contrazione degli investimenti delle aziende in macchinari, attrezzature e ICT del 17%!

Per farla semplice, poniamo il caso che il consumatore finale acquisti meno spaghetti (a valle del sistema) per un valore di 2 unità, l’azienda che produce inchiostro per la stampa del pacchetto di spaghetti avrà una contrazione di quasi il 20%.

Chi si occupa in modo strategico di supply chain sa perfettamente che, a fronte di un calo della domanda del solo 5% all’ultimo step a valle della catena del valore (vedi la pasta di cui sopra), si può verificare una fluttuazione che può oscillare tra ±50/80% qualche step a monte (vedi l’azienda di inchiostro). È quello che gli economisti chiamano effetto Forrester, o bullwhip (frusta), in cui le variazioni si propagano da valle a monte della catena con ampiezza via via crescente. Una specie di sasso lanciato nel lago, con i cerchi che man mano si allargano dal centro verso l’esterno, amplificando l’effetto dell’espansione.

Tale amplificazione della domanda comporta un’accelerazione esponenziale degli ordini e della richiesta di approvvigionamento di scorte a mano a mano che ci si muove da valle a monte. Per questo è chiamato effetto frusta, in quanto l’oscillazione cresce quanto più ci si allontana dalla mano che la impugna. In questo caso la mano sono i clienti finali, mentre l’estremità della frusta possono essere gli impianti di produzione e la logistica.

Questo significa che, passata la fase acuta dell’emergenza, e al netto del mercato perso nel periodo di lockdown, è lecito per i produttori di beni di consumo attendersi un calo moderato della domanda; per i fornitori di questi produttori il calo sarà tuttavia più marcato – effetto frusta – per diventare sempre più significativo man mano che si risale la filiera. Bisogna però fare attenzione: dopo questo probabile calo “misurato” potrà presumibilmente seguire un aumento importante di questo calo, e così via fino ad uno stabilizzarsi della situazione. E questo potrebbe essere un motivo di crisi destabilizzante.

Lockdown e mindset

Andamenti di questo tipo non sono affatto sani per l’economia reale, quella che ci vede protagonisti al supermercato, online e nel B2B; le aziende faticano a riorganizzarsi, sia dal punto di vista tecnico ma, soprattutto, dal punto di vista del mindset.

Le nostre aziende, soprattutto quelle della fascia mediana, faticano e non poco nella gestione altalenante. Periodi di magra con poca domanda, ridotto flusso di cassa, poca capacità di investimento e “eccesso di manodopera“, si contrappongono a momenti di picco della domanda, scarna capacità produttiva e tempo frammentato da dedicare allo sviluppo e alla ricerca.

Che fare?

In uno scenario simile le conseguenze risultano ben più importanti rispetto alla, seppur grave, “semplice” perdita economica di breve periodo. Che fare, allora, per prepararsi a questa verosimile situazione? Innanzitutto, dovremmo aver compreso come determinate azioni potrebbero risultare differenti per le imprese che occupano posizioni diverse nella catena del valore. Pensiamo al complesso e delicato equilibrio tra le filiere “indispensabili” e quelle considerate non fondamentali.

L’emergenza Covid-19 ci ha mostrato quanto, in realtà, molte delle nostre scelte non siano state affatto vincenti. Si pensi ai tanti mancati investimenti per creare infrastrutture adeguate che permettessero ai lavoratori di operare in smartworking. Il mancato – e disastroso – investimento nelle strutture pubbliche che hanno portato alla mancanza pressoché totale della tanto pubblicizzata “sburocratizzazione“, fino ai tagli alla sanità per quasi 40 miliardi in poco meno di 10 anni. Un taglio che, alla fine del 2019 segnava un deprimente -38%.

Tutto questo non crea “fiducia” nel comparto privato e negli imprenditori che, proprio a causa di una mentalità compromessa, troveranno molto complesso il cambio di visione. Comunque, al di là del settore di appartenenza, è ragionevole pensare che tutte dovranno predisporre un piano di cassa per far fronte a un fabbisogno derivante da un calo del fatturato che, secondo il World Economic Forum potrà oscillare dal -5% fino al -50%. Inutile dire che il momento è ancor meno propizio, visto l’arrivo di Maggio, un mese tutt’altro che semplice per le imprese che sono tenute a presentare il bilancio e a rendere conto all’intero impianto aziendale…

L’utilizzo degli strumenti messi a disposizione dalla politica non saranno totalmente sufficienti, ma non possiamo nemmeno pensare che il solo assistenzialismo possa farci risollevare. E’ necessario ripensare ai paradigmi che funzionavano (e comunque a fatica) fino a qualche tempo fa.

Si parte dallo scenario “peggiore”

Ma quale sarà l’effetto concomitante di bassa domanda e mantenimento dei costi fissi? A quanto ammonterà, nel worst-case scenario, il fabbisogno di liquidità dell’impresa? In questo momento in cui i tassi sono relativamente bassi, una volta studiato e il piano di rientro, anche le aziende con più capacità potrebbero approfittare nel richiedere finanziamenti atti a ricoprire i fabbisogni di breve periodo, cogliendo magari opportunità che potrebbero presentarsi, e che fino a qualche settimana fa erano inimmaginabili. Pensiamo a tutte le improvvise “conversioni”: Armani che crea camici, Decathlon che scopre di avere presidi respiratori nelle maschere e molte altre.

Inoltre sarebbe opportuno, laddove non sia ancora stato fatto, predisporre una pianificazione per spostare tutte quelle unità di business (vendita, amministrazione, controllo, acquisti) che possono lavorare – anche – da remoto, attraverso piani di investimento nelle infrastrutture tecnologiche e sul Cloud.

C’è da considerare anche che questi possibili finanziamenti difficilmente, in seguito, verranno concessi alle stesse condizioni – sempre che vengano concessi. Già nel 2009, dopo la pesante crisi dell’anno precedente, l’accesso al credito non fu più così semplice e, dove fu possibile, ben poche sono state le imprese (e i privati) che hanno potuto usufruirne. Chi già aveva un certo patrimonio poteva, paradossalmente – ma nemmeno tanto paradossalmente – accedere a prestiti e finanziamenti proprio perché debitore sicuro.

Le aziende più in alto nella catena produttiva, dovranno cercare meccanismi collaborativi per aver accesso alla domanda reale o per incentivare gli attori più a valle a non accentuare le fluttuazioni. Come? Concedendo sconti, attivando vie prioritarie o dilazioni dei pagamenti. E’ una questione legata al mindset, ancor prima che al fatturato.

Conclusione

Infine, e questo riguarda davvero tutti, si dovrà agire in maniera razionale e pianificata nei confronti del calo della domanda che, purtroppo, sarà fisiologica. Sarà necessario allocare risorse (non solo economiche) per renderle disponibili nei momenti in cui il mercato ricomincerà a tirare. Dall’innovazione al miglioramento delle condizioni di lavoro, dall’ottimizzazione dei trasporti fino all’igiene dei luoghi pubblici e privati. Tutto questo non solo per ottenere un vantaggio competitivo al momento della ripartenza che, ci sarà, ma anche – e soprattutto – per far sì che tutto questo “sforzo” non sia vanificato.

Impiegheremo almeno un paio di anni per avere una completa ripresa e, probabilmente, l’accettazione del cambiamento di mentalità. Qualcuno è già pronto, qualcuno si sta preparando altri, purtroppo, soccomberanno se non capiranno che ora è il momento di rinnovare, non solo tecnologicamente ma anche mentalmente.

Tutto questo, insieme a qualche altro vantaggio (pensiamo alla riduzione dell’inquinamento, alla riscoperta di tempi ammorbiditi) ha un ulteriore effetto positivo: quello della conservazione dei nostri talenti e della valorizzazione delle competenze che, in contesti così nuovi, rischiano di essere persi in nome di una riduzione dei costi troppo spesso ingiustificata. Quei talenti che troppo spesso “fuggono” insieme al loro cervello e che, forse, diverranno risorsa rara e preziosa nel momento in cui tutto riprenderà a pieno ritmo.